lunedì 12 marzo 2012

Non pagare il pizzo: una questione di dignità. La storia di Rocco Mangiardi.


di Claudio Metallo

Sto realizzando un documentario ('Un pagamu) sulla questione del pizzo a Lamezia Terme, terza città della Calabria. Lamezia comprende tre comuni: Sambiase, Nicastro e Sant'Eufemia. Proprio a Nicastro fu ritrovato il primo codice scritto della 'ndrangheta nel 1888. Questo fatto da la dimensione di come la 'ndrangheta sia radicata in questi territori. La città è amministrata da Gianni Speranza, sindaco di Sinistra, ecologia e libertà che ha fatto della lotta ai clan uno dei baluardi della sua amministrazione.
Per questo nuovo film che sto girando con Nicola Grignani e Miko Meloni, vado ad incontrare ed intervistare Rocco Mangiardi. Un uomo dall'aspetto mite, tranquillo che fuma una sigaretta dopo l'altra. Dice di non essere abituato a stare davanti alla telecamera ed in effetti è emozionato. Racconta la sua storia in maniera lenta, ponderando bene le parole. Si emoziona raccontando la sua vicenda ed ogni tanto chiede di fermare le camere, quasi che il suo racconto gli facesse rivivere realmente le sensazione che ha provato durante il percorso che lo ha portato ad essere il primo commerciante lametino ad indicare i suoi estortori in un aula di tribunale.
Prima di iniziare l'intervista, mi spiega che è sotto scorta, ma non tanto per la sua testimonianza, quanto per il fatto che durante lo svolgimento del processo, è stato sventato un attentato ai giudice Domjianni e Spataro che seguivano anche la sua vicenda. Per sicurezza, è entrato in un programma di protezione. Mangiardi, ci tiene a mettere in chiaro questo punto, per far capire che non tutti quelli che denunciano sono costretti alla scorta e quindi a rinunciare a parte della proprio "intimità". Non vuole scoraggiare i suoi colleghi, commercianti 'onesti', ad intraprendere la sua stessa strada. Sottolinea la parola "onesti" perché, aggiunge, altri sono collusi e fanno affari con le cosche locali.
Il suo racconto comincia, nella migliore tradizione, con una sua presentazione:

"Sono Rocco Mangiardi e sono un piccolo commerciante di Lamezia Terme. Ho un negozio di autoricambi in via del Progresso, la via commerciale principale della città.
La mia storia con il racket inizia, grosso modo, nel 2006. Negli anni precedenti avevo avuto solo avvisaglie, grosse avvisaglie che mi erano costate molto, ma poi era tutto rallentato perché c'erano in corso guerre da cosche ed avevano altro a cui pensare.
Nel 2006 vengono alcuni individui che già frequentavano la mia attività, il mio magazzino e mi chiedono di non dare più credito a nessuno perché, pagando una tangente di 1200 euro al mese, avrei risolto tutti i miei problemi. Mi dissero di dare questo pensierino a Pasquale Giampà che era il reggente del clan Giampà, qui a Lamezia Terme. Questa zona era sotto la sua tutela."

Nel negozio di Rocco Mangiardi lavorano quasi solo  giovani, tutti messi a posto.

"Pagare questa cifra per me voleva dire chiudere questa attività e mandare a casa i ragazzi che lavorano con me.
Sono entrato in contatto con  l'associazione antirakcet di Lamezia Terme (ALA) ed ho ritenuto opportuno iniziare a collaborare con le forze dell'ordine. Ci sono state delle intercettazioni e poi gli arresti di quattro persone, tra cui Pasquale Giampà."

Claudio Metallo: Dopo cos'è successo?

Rocco Mangiardi: "Dopo gli arresti del maggio 2008 è iniziato il processo. Il momento più importante sia per me che per il procedimento è stato il primo grado, quando sono andato a testimoniare contro questi individui che cercavano di estorcermi del denaro. In quella giornata ricordo benissimo che c'erano molti commercianti al mio fianco, soprattutto quelli che aderiscono all'ALA. E' stato molto incoraggiante per me quella presenza, perché anche grazie a loro sono riuscito ad indicare al giudice i miei estortori.
La sentenza di primo grado è stato di circa 14 anni per i due imputati maggiori e in secondo grado è stata ridotta ha circa 10 anni."


CM: Com'è andato il suo incontro con Pasquale Giampà?

RM: "L'incontro con il boss Giampà l'ho avuto quando, un suo conoscente mi ha chiesto di andare ad incontrarlo per patteggiare l'estorsione di 1200 euro al mese. Cercavo di prendere tempo. Ho chiesto se si poteva rivedere questa somma perché non ero in grado di pagare ed ho proposto 250 euro al mese. Questo signore mi ha risposto che in via del progresso pagano tutti dalla A alla Z e non chiede l'elemosina."


CM: Come mai è arrivato a testimoniare in aula, in molti casi non succede, quando l'imputato richiede il rito abbreviato, per esempio, il confronto in aula non è indispensabile.

RM: "Sono arrivato a testimoniare in aula perché con molta probabilità, il boss Giampà, non richiedendo il rito abbrevviato pensava che io mi tirassi indietro e che non andassi a testimoniare. Cosa che non è successa. Ho avvertito questa sua non richiesta di rito abbrevviato come una sfida. Credo che lui abbia fatto questo perché credeva fermamente che io non avessi il coraggio di andare a testimoniare. Cosa che non è successa"

CM: Com'è cambiata la sua vita, si sente più sicuro?(Mangiardi, mi guarda in faccia e sorride):

RM: "Vivo sotto scorta dal Natale del 2009. Grazie all'appoggio anche della mia famiglia stiamo vivendo con serenità questa situazione. Anche la mia attività è tutelata dalla mattina alla sera. Un po' d'intimità è andata a mancare, ma mi sento comunque più libero e più sicuro che sotto protezione di un boss della 'ndrangheta. Ne ho guadagnato in libertà, ma anche in dignità. A miei figli ho cercato di passare alcuni valori, se non andavo avanti con questo discorso, rinnegavo quello che gli avevo insegnato. Potevano dirmi: ci hai insegnato una cosa ed adesso che puoi metterla in pratica ti tiri indietro?"

CM: Hanno accettato la situazione.

RM: "Si, si. Quando ne ho parlato con loro, ci siamo guardati negli occhi e sarebbe stato traumatico se avessi fatto il contrario."

CM: Secondo lei, come mai la 'ndrangheta, nonostante gli introiti enormi derivanti dal traffico di droga o dagli appalti continua a chiedere il pizzo?

RM: "L'estorsione è comunque una fonte di guadagno, non è la più grossa ma sono sempre soldi. Chiedere un'estorsione ad un piccolo commerciante come me, gli serve come monito per far capire alla gente ed ai miei colleghi commercianti che qua comandano loro.
Vogliono sottomettere la gente, comandare, guadagnare ed avere le mani in tutte le attività economiche della zona."

CM: Se lei dovesse convincere una persona a non pagare, a ribellarsi come ha fatto lei, cosa direbbe?

RM: "Ai miei colleghi direi di pensare ai propri figli, perché pagando non gli diamo un bel futuro. Anche loro si ritroveranno con i nostri problemi e non potranno andare avanti con le loro aziende. Per questo bisognerebbe andare contro alla 'ndrangheta, a questa gentaglia."

Tra una pausa e l'altra sono siamo insieme a Mangiardi, circa tre ore, ma quando gli chiedo, a fine intervista, se vuole aggiungere qualcosa, mi dice:
"Si, vorrei dire che spero che i genitori la smettano di dire ai propri figli che il futuro lo cambieranno loro. Il futuro, lo si cambia insieme, non possiamo delegare ai nostri figli il problema della 'ndrangheta." .



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