giovedì 8 marzo 2012

5 anarchici ed una rivolta

di Claudio Metallo

Il 22 luglio del 1970 alle 17:10, la Freccia del Sud, treno di emigranti che seguiva la tratta Palermo-Torino, deragliava a circa un km da Gioia Tauro.

Ci furono 6 morti e 139 feriti. I marescialli della Polizia De Carlis e Ciliberti esclusero senza ombra di dubbio l'origine dolosa del deragliamento.

In realtà si trattava di un attentato ed a questo ne seguirono altri della stessa matrice tra Gioia Tauro, Villa San Giovanni e nella stessa Reggio Calabria.

Elvio Catenacci degli affari riservati del ministero degli interni, giunto di persona, disse che non c'era dolo ed era colpa de macchinisti.

Sono passati 40 anni, ho tra le mani il libro di Fabio Cuzzola, 5 anarchici del Sud - una storia negata (edizioni Città del Sole). Il libro racconta la storia di 5 ragazzi che furono assassinati il 26 settembre del 1970 tra Ferentino ed Anagni, tamponati da un camion. Si chiamavano Angelo Casile, Gianni Aricò, Franco Scordo, Luigi Lo Celso ed Annalise Borth. I cinque anarchici stavano andando a Roma, alla manifestazione contro Nixon, l'ex presidente degli Stati Uniti. Avevano con loro alcuni documenti riguardanti la Rivolta di Reggio Calabria e l'attentato alla Freccia del Sud e li stavano portando ad i compagni romani per parlarne assieme.

Gli stessi compagni della capitale testimonieranno che i calabresi avevano raccolto materiale tale da "far tremare l' Italia.". Molti dei documenti, che non sono mai stati ritrovati, anche l'infiltrazione da parte dei fascisti italiani e greci in varie azioni di guerriglia nella città dello stretto, ma anche nella vicina Messina. L'altro sospetto è che le carte contenessero le prove del coinvolgimento dello Stato (per le omissioni nelle indagini), della 'ndrangheta, del comitato per Reggio capoluogo di Ciccio Franco, degli industriali reggini nell' attentato alla Freccia del Sud. All'epoca la matrice terroristica era stata esclusa ed è stata accertata solo 23 anni dopo.

Nel 1994 Giacomo Lauro, un pentito della 'ndrangheta, ha raccontato che diede il suo contributo nella strage. Lo confermò Carmine Dominici del movimento neo fascista  Avanguardia Nazionale di Valerio Junio Borghese, a Reggio Calabria. Lauro disse che l'attentato era stato compiuto materialmente con l'aiuto della 'ndrangheta. Lauro accusò: Vito Silverini, Renato Marino, Vincenzo Caracciolo e Giovanni Moro di essere il braccio armato che faceva attentati per conto di Borghese con il coinvolgimento di Ciccio Franco ed il comitato Reggio Capoluogo composto, tra gli altri, da Renato Meduri (quello che voleva cacciare Gratteri dalla Calabria), Paolo Romeo, Benito Sembianza, Felice Genovese Zerbi ed Angelo Calafiore. I finanziatori degli attentati pare fossero Mauro, quello del caffè e Matacena Amedeo, quello dei traghetti.



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La serie di attentati dinamitardi (ben 44 in meno di due anni) nel reggino, s'inquadrava nella strategia della tensione e nella svolta a destra della rivolta di Reggio. Svolta che era già nell'aria visto che addirittura Amintore Fanfani, all'epoca presidente del Senato, intervenendo al premio Villa San Giovanni, si rivolse ad alcune persone che gridavano "Reggio capoluogo!", dicendogli che "...Reggio Calabria non è seconda ad alcuno, giacché quando su queste coste approdarano i coloni- non i colonelli...-greci, presero avvio le più alte forme di civiltà culturale e sociale." (vedi Reggio 1970 di Fabio Cuzzola, Donzelli editore). Era il 12 luglio del 1970. Uno strano riferimento quello ai colonnelli greci che tre anni prima avevano realizzato il colpo di Stato proprio in Grecia.

Si sa che i De Stefano appoggiarono l'estrema destra fascista e coprirono latitanti fascisti ed a Reggio erano di casa Concutelli, Delle Chiaie e Junio Borghese. Forse anche la 'ndrangheta voleva il colpo di stato, oppure era un modo per ottenere favori. Proprio secondo Concutelli,  Paolo De Stefano frequenta la casa di Stefano Delle Chiaie, in via del Sartorio, a Roma.

Altro particolare inquietante dei rapporti 'ndrangheta-neofascismo riguarda l'incontro di Montalto, sull'Aspromonte, del 26 ottobre 1969 tra le cosche calabresi. Stranamente la riunione annuale viene tenuta non a Polsi, come ogni anno, con buona pace della Curia romana e calabrese, ma in una località diversa ed in giorni diversi, rispetto alla tradizione.

La riunione viene interrotta da un blitz della polizia e trapela la notizia, mai confermata, che a quella assemblea delle cosche ci fosse anche Valerio Junio Borghese che era venuto a cercare l'appoggio della 'ndrangheta per il colpo di Stato che tenterà qualche anno dopo. Il giorno dopo, Borghese, terrà un tumultuoso comizio non autorizzato a Reggio Calabria.

I cinque anarchici, forse, avevano scoperto avevano le prove dei legami tra 'ndragheta e neofascisti?

Questa tesi viene avvalorata dalle telefonate tra i ragazzi ed i compagni di Roma e poi dal fatto che sul luogo dell'incidente arriva immediatamente la polizia politica, non si sa per quale motivo, evidentemente sapevano chi c'era nella macchina distrutta? La morte di Angelo Casile, Gianni Aricò, Franco Scordo, Luigi Lo Celso ed Annalise Borth è strana, come lo sono le indagini, strane ed approsimative: I cinque ragazzi viaggiavano in autostrada per raggiungere Roma e muoiono sbandando contro un camion di proprietà indovinate di chi' Di Valerio Junio Borghese.

I 2 autisti che sono anche suoi dipendenti, testimoniano che sono stati superati ad alta velocità dalla Mini Morris con a bordo i cinque, che sbandando ha colpito il camion e si è ribaltata. In realtà non verrà mai stabilito come sia andato l'incidente, anche perché pare che due corpi dei ragazzi sia stati sbalzati fuori a causa di un violento tamponamento, quindi la testimonianza dei due camionisti sarebbe falsa.

Il mezzo pesante coinvolto nell'incidente non verrà sequestrato per gli accertamenti: La notizia viene scoperta perché lo stesso camion è coinvolto in un altro incidente che provoca altri morti. La stampa cerca immediatamente di screditare i ragazzi: si dice che corressero a velocità folle, cosa che risultò essere falsa. Si sa che i giornalisti prima sparano e poi chiedono chi va là. Su Il Tempo, che ha la faccia tosta di autoproclamarsi 'quotidiano indipendente' (lo è tanto quanto De Gasperi era comunista), si comincia a parlare degli amori di Annelise Roth, da bravi vigliacchi si insinua l'idea che sia una ragazza facile, che va con tutti. Il Tempo pubblica, addirittura, la notizia che la Roth sia l'amante di Valpreda. Insomma grande giornalismo. Nessuna importanza viene data alla sparizione dei documenti nella macchina compresa l'agenda di Franco Scordo.

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Come ricordano molti storici e giornalisti tra cui Roberto Bortone: "La destra all'inizio chiama gli scioperanti teppisti e cialtroni, ma quando il comitato di azione finisce sotto il controllo del segratario provinciale della Cisnal Francesco Franco, si schiera con la sollevazione. Nasce lo slogan: Boia chi molla.."

Ed i fascisti cominceranno a chiamare la rivolta di Reggio "la nostra rivolta." Il neo fasci...ehm presidente della Regione Calabria, Scopelliti del PDL (rimarrà con Silvio o andrà con Ginfranco?), il 14 luglio del 2000 intitolò l'arena di Reggio Calabria a Ciccio Franco, dicendo che "Omaggiare i caduti di quella rivolta, i suoi protagonisti rappresenta la vera continuità". Speriamo che non voglia cominciare a mettere le bombe anche lui e far ammazzare gente in autostrada.

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La Rivolta di Reggio Calabria, di fatto, è stata una rivolta di popolo e negarlo sarebbe storicamente falso. Molta gente che stava sulle barricate non aveva una istanza politica reale da portare avanti se non quella di conquistare una vita migliore, se necessario, attraverso gli scontri di piazza: una cosa del tutto legittima.
Purtroppo, i capirione fascisti cercarono di fomentare solo il campanilismo contro Catanzaro, anche perché i loro scopi, a giudicare dagli intrecci con i neofascisti di Avanguardia Nazionale , erano diversi da quelli del resto della popolazione reggina.In realtà, le istanze delle gente vengono ignorate: dopo i morti, i feriti, le barricate si cede ad un fasullo pacchetto Colombo e la protesta rientra. Se non fosse dimostrato questo coinvolgimeno dell' estrema destra italiana verrebbe da pensare che i vari Ciccio Franco e compagnia cantante hanno creduto nella realizzazione del piano industriale per Reggio. Un'altra ipotesi è che lo slogan coniato dai compagni: "Ribelliamoci per non cambiare nulla, ribelliamoci perché il nostro nemico è il governo, lo stato...del quale poi divento sicuro parlamentare stipendiato." era molto aderente alla realtà e risentito oggi fa venire in mente certi parlamentari della Lega Nord.

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