di Claudio Metallo
L'inchiesta su Donato Denis Bergamini è stata riaperta e nella puntata
del 14 dicembre 2011, la trasmissione Chi l'ha visto ha dato conto degli
sviluppi. In studio, c'erano la mamma ed il papà del calciatore ed il
loro avvocato. Molte delle questioni portate ieri all'attenzione della
pubblica opinione, in realtà erano già state sviscerate nel libro di
Carlo Petrini Il calciatore suicidato edito da Kaos Edizioni. Cos'è
successo a Donato Bergamini?
Il 19 novembre 1989 muore il forte centrocampista del Cosenza di quegli
anni che fu tra i protagonisti della storica promozione in serie B della
stagione '87-'88.
Dopo ventiquattro anni la squadra ritrovava la serie cadetta guidata da
Gianni Di Marzio che aveva sostituito (non si sa bene perché) Franco
Liguori, provocando una dura reazione dei giocatori che avevano deciso
di non presentarsi agli allenamenti.
Protesta rientrata dopo le minacce del presidente dell'epoca Carratelli.
Donato Bergamini è nato a Boccaleone in provincia di Ferrara, arriva a
Cosenza nella stagione '85-'86. A soli 27 anni muore sulla statale 106,
all'altezza di Roseto Capo Spulico. La sua presunta fidanzata disse che
il calciatore si era tuffato sotto le ruote di un camion che passava
sulla strada.
In città c'è grande commozione. Molti dei compagni di squadra giurano
che l'ipotesi del suicidio è inverosimile perchè "Donato era un ragazzo
pieno di vita". Bergamini era considerato uno dei giocatori più
rappresentativi della squadra, alla stregua del suo migliore amico
Michele Padovano, al punto che dopo la sua morte la curva sud venne
intitolata proprio al giocatore ferrarese.
Il camionista calabrese che guidava l'autoveicolo è stato assolto
dall'accusa di omicidio. L'inchiesta della magistratura non portò a
nessuna verità comprovata, ma aprì una serie di voragini. Ad esempio, la
"fidanzata" di Bergamini andò con un'auto di passaggio fino ad un bar
ad avvertire prima sua madre e poi i giocatori in ritiro pre-partita e
si trattenne al telefono con uno di essi Francesco Marino. Qui
cominciano le incongruenze perché la ragazza non accennerà a questi
particolari che verranno scoperti solo dopo, il camionista investitore
cambierà la sua versione dei fatti un paio di volte.
I giocatori del Cosenza, compreso il coinquilino e grande amico di
Bergamini, Padovano, non daranno nessun aiuto all'inchiesta.
Il caso si chiuderà in un nulla di fatto, anche se l'indagine non riuscì
a dimostrare né il suicidio, né l'omicidio. Alcuni giornali durante
l'inchiesta comincieranno a parlare delle influenze della'ndrangheta
cosentina sulla squadra. Anni dopo l'ex potente boss Franco Pino
dichiarò di aver truccato una partita (Cosenza-Avellino) e come garanzia
di aver tenuto in ostaggio la moglie di un giocatore della squadra
avversaria al San Vito.
Il dubbio che emerge è che la morte di Bergamini sia un omicidio
collegabile ad un traffico di droga messo in piedi dalla criminalità
cosentina. La macchina che il calciatore usava, una maserati bianca, era
piena di doppi fondi ed intercapedini dov'era possibile nascondere
qualsiasi cosa.
Il padre di Bergamini, Domizio, ascoltato dal magistrato il 2 dicembre
1989 riferisce di una telefonata, ricevuta nella loro casa di
Boccaleone, che aveva messo in grande agitazione il figlio che
addirittura, secondo la testimonianza, "...era paonazzo, sudava ed alla
attaccatura dei capelli aveva delle bollicine come dopo una profonda e
intensa emozione."
L'altro fatto strano è che nel giorno della morte Bergamini andò al
cinema "Garden" con il resto della squadra, ma fu prelevato da due
uomini a metà del film o almeno così risulta secondo alcune non provate
testimonianze. Di sicuro il giocatore sparì dal cinema, non tornò nel
ritiro e poi fu trovato morto sulla statale 106. A dire dei giocatori
nessuno si accorse della sua assenza. In questa vicenda il problema che
fa nascere vari sospetti è proprio questo: ci sono testimonianze che
poi vengono cambiate, lettere anonime e non che cercano d'indirizzare
sul totonero le indagini, una di queste arriva alla procura di
Castrovillari, un'altra lettera indirizzata a Domizio Bergamini parla
del coinvolgimento della presunta fidanzata di Donato e di un dirigente
del Cosenza in un traffico di droga. Il dirigente consegnava una scatola
di cioccolatini al calciatore che la passava alla ragazza e poi la
scatola si ritrovava nel pullman del Cosenza che portava i giocatori in
trasferta. La lettera continuava sostenendo che Donato l'aveva aperta e
non avrebbe dovuto farlo. Depistaggi?
Inoltre l'avvocato della famiglia del calciatore fece analizzare ad un
perito, il professor Antonio Dell'Erba, i risultati dell'autopsia sul
corpo di Donato. Tra gli elementi mancanti per un'accurata analisi,
c'erano i vestiti indossati dal giocatore che hanno una storia
abbastanza incredibile: i genitori non riescono a farseli ridare
dall'ospedale dove fu portato il ragazzo. Padre Fedele, secondo Domizio
Bergamini, gli avrebbe detto che Donato era stato ucciso e la prova era
nei vestiti.
Dopo qualche tempo le scarpe di Bergamini vengono consegnate alla
famiglia grazie a Domenico Corrente, factotum della squadra, con la
preghiera di non farlo sapere a nessuno.
Le scarpe sono intatte e pulite e lo dimostrano anche le foto scattate
dopo l'incidente dai carabinieri e mostrate ieri a Chi l'ha visto?.
Nelle foto si vede il corpo di Bergamini intatto, con un gilet di raso
intatto. Com'è possibile che un uomo investito da un camion e trascinato
per sessanta metri sia perfettamente vestito e senza un graffio?
Un magazziniere del Cosenza, Alfredo Rende, aveva chiamato i genitori
per dirgli che voleva parlare con loro della morte del figlio: anche lui
morì sulla 106 Jonica insieme a Corrente travolti da un camion che
sbanda e distrugge la loro macchina.
Questa è una vicenda tragica senza verità in cui un ragazzo muore e
senza che i suoi familiari riescano a sapere cosa sia successo. Una
storia di omertà dove sembra chiaro che chi sa qualcosa tace e chi
sospetta e potrebbe essere utile non si fa avanti.
Vorrei concludere citando il libro di Carlo Petrini che ha cercato di
mettere in fila questi fatti in maniera completa, a cui mi sono rifatto
per scrivere queste righe e di cui consiglio la lettura:
"Sulla morte di Bergamini è stata fatta un'inchiesta superficiale, piena
di buchi e di errori, che ha dovuto fare i conti con un muro di omertà
costruito all'interno della squadra".
L'altra cosa che mi fa venire il voltastomaco ripensando a questa
vicenda è che nessun giornalista sportivo ha avuto il coraggio
d'indagare su questa storia, di ricostruire la vicenda, di cercare di
restituire qualcosa ad un ragazzo di 27 anni morto tra inganni, bugie e
silenzio. Molti giornalisti sportivi dell'epoca, d'altronde, sono gli
stessi che hanno nascosto ed alimentato la cosidetta calciopoli e che
fanno a gara ad arruffianarsi i vari potenti del pallone. Persone che
rispettano la volontà superiori di tenere tutte le questioni scomode,
come questa, fuori da qualsiasi possibile svelamento nel mondo dorato
del calcio.
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