sabato 16 novembre 2019

La grande Ungheria di Puskas, il mondiale del 1954 e i crocevia della storia.


di Claudio Metallo

Nel novembre del 1945 si tennnero le prime elezioni democratiche in Ungheria, sotto la stretta osservazione del maresciallo sovietico Vorosilov. Vinse il Partito dei Piccoli Proprietari Terrieri, ma la cosa non andò bene ai compagni russi, e poi l’Europa era già stata divisa tra Occidente e Oriente, senza che nessun europeo dell’ovest o dell’est avesse potuto dire una parola. Il destino dell’Ungheria era quindi segnato. Il 18 agosto del 1949 nacque la Repubblica Popolare d’Ungheria. Tra i vari cambiamenti che questa scelta comportò, nessuna squadra di calcio avrebbe potuto essere essere privata, ma avrebbe dovuto essere legata all’esercito, alla polizia, a un’associazione studentesca o simili. 

Nella storia di tutti i regimi, democratici e non, ad un certo punto sbuca qualcuno che pensa che il calcio possa essere un volano di propaganda per il nuovo corso. Nella  storia magiara quel uomo fu Gusztav Sebes, che oltre ad essere un comunista che credeva nella causa, era un grandissimo appassionato di calcio. Decise di formare una nazionale fortissima sul modello di quella italiana. All’epoca gli azzurri avevano vinto due mondiali e la squadra più forte del mondo era considerata il Grande Torino. La sua idea era quella di far giocare i più forti giocatori ungheresi nella stessa squadra di club, in maniera tale da poter oleare perfettamente tutti i meccanismi necessari a creare una team vincente. “Quale squadra può diventare il nostro Grande Torino?” si domandò Sebes.
L’MTK era diventata di proprietà della polizia segreta del regime, AVH, e quelli era meglio lasciarli perdere. C’era il Ferencvaros. Eh no, quelli erano la squadra della borghesia ungherese che avevano avuto in gran simpatia i nazisti della Croce di Ferro, alleati di Hitler. Sebes decise di puntare su un club che aveva già dei buoni giocatori, ma che nasceva in un quartiere operaio, il Kispest. In quel club aveva esordito giovanissimo Ferenc Puskas. Alla squadra venne cambiato nome in Honved che significa difensore della patria, in onore dell’esercito che ne diventò proprietario. In poche mosse, sono state gettate le basi per la costruzione della Grande Ungheria, l’Aranycsapat. La squadra d’oro.


Golden_Team_1953.jpg

Nell’Honved giocavano Lorant, Hidegkuti, Kocsis, Czibor, Grosics e soprattutto Ferenc Puskas.
Puskas in carriera segnerà 1156 reti gol più, gol meno. Era l’uomo che poteva cambiare le partite, sbagliava un rigore e poi faceva una doppietta. Palleggiava come Maradona, o meglio, Maradona palleggiava come Puskas. Nel 1952, a Helsinki, l’Ungheria ottenne la sua più grande vittoria calcistica: la medaglia d’oro all’Olimpiadi. Gli inglesi avevano l’abitudine di non partecipare alle grandi competizioni internazionali, ma invitavano la squadra che aveva vinto il trofeo più importante a giocare a Wembley. Di solito vincevano facile e quindi potevano continuare a millantare di essere i più forti.  Quella volta, però, non gli andò benissimo. Finale di partita 6-3 per gli ungheresi, 35 tiri in porta contro 5. Puskas fu il re della partita e confezionò una delle giocate più belle di sempre. Arrivò in area, fece sdraiare un difensore inglese con un finta e in un millesimo di secondo infilò la palla sul primo palo. Un gol incredibile che il telecronista inglese definì ‘A lovely gol!”,  con invidiabile self-control. In realtà quel gol avrebbe dovuto essere festeggiato dal più lungo urlo alla sudamericana sostenibile da essere umano, prolungato finché il pallone non avresse toccato il dischetto del centrocampo.

https://www.youtube.com/watch?v=-hJk3pFDbsA

Con delle premesse così, il titolo mondiale del 1954 non potrà che essere degli ungheresi, anche perché non ci saranno grandi avversari. L’Italia non s’era ancora ripresa dalla tragedia di Superga, il Brasile era ancora frastornato dal Marcanazo. C’era l’Uruguay, campione in carica, che era una grande squadra e, forse, la Jugoslavia. L’Ungheria nel suo girone trovò la Corea del Sud e la Germania Ovest. Nella prima partita i coreani imbarcarono nove gol e non ne segnarono nessuna. Con i tedeschi dell’ovest, la partita finisce 8-3. In quella stessa partita, i crucchi che stavano sempre a lamentarsi delle scorrettezze degli altri, decisero che il giocatore più forte dell’Ungheria, Puskas, debba essere eliminato. Una roba del genere è degna del derby tra SCHIAPP e Ghiandineddese del film con Franco e Ciccio ‘I due maghi del pallone’. Nel film la dirigenza (Sic!) della Ghiandineddese decide che il loro stopper, Petruzzu, deve ciaccare Tonino, il giocatore più forte della SCHIAPP. La stessa cosa avviene tra Ungheria-Germania. Puskas, come al solito, saltava quasi tutti i giocatori tedeschi più volte. L’allenatore tedesco gli aveva messo addosso tale Liebrich. Lo sportivissimo teutonico, a un certo punto del match, andò addosso al giocatore dell’Honved che lo saltò come un birillo, quando decoubertinianamente, il tedesco gli assestò un calcione sulla caviglia che per poco non andava in frantumi. Ferenc Puskas  uscì zoppicando dal campo e probabilmente il suo mondiale, di fatto, è finito lì. 

Germania e Ungheria, comunque, passarono ai quarti. L’Aranycsapat affrontò il Brasile, in una partita che passerà alla storia come la Battaglia di Berna. I brasiliani sapevano di essere inferiori agli ungheresi e appena presero il secondo gol cominciarono a picchiare come fabbri sovietici in un’acciaieria portata al massimo della produzione in onore della NEP. Sul campo volarono mazzate, addirittura un fotografo brasiliano tirò un pugno un poliziotto svizzero e poi scappò via protetto dal portiere verde-oro. Alla fine della partita Puskas prese di petto Pinheiro, il difensore centrale del Brasile, e gli si mise a urlare contro in ungherese, probabilmente la lingua più imperscrutabile di tutto l’occidente. Il brasiliano conosceva solo il suo idioma, ma cominciò a urlare anche lui.. La leggenda vuole che Puskas prese una bottiglia e la schiattò in testa al difensore:
“Questa fa male quasi quanto i tacchetti delle vostre scarpe!”
In quel momento scoppiò una rissa furibonda tra brasiliani, ungheresi, poliziotti svizzeri, fotografi e giornalisti. Calcio di altri tempi.

Gli ungheresi affrontano in semifinale il grande Uruguay di Varela e El Futbol Schiaffino.
Per Gianni Brera quella partita “rappresentò ai miei occhi il vertice tecnico-agonistico del gioco per me più bello del mondo.”
La partita finì 4-2 per i magiari dopo i tempi supplementari. Hidegkuti e compagni andarono in vantaggio per due a zero, vennero ripresi dagli urguayani e dopo altri trenta minuti di grandissimo calcio il risultato finale li vedi battuti ed eliminati.

https://www.youtube.com/watch?v=FrW6bpNrmXQ

La finale del campionato del mondo si giocò a Berna il 4 luglio del 1954. Di fronte Ungheria e Germania Ovest. Puskas non stava benissimo, ma Sebes decise di farlo giocare comunque. Dopo sei minuti, segnò il primo gol per la sua squadra. All’ottavo minuto segnò anche Czibor. 2-0 per i magiari. I tedeschi, però, correvano come dannati e l’Ungheria aveva appena giocato una partita epica di 120 minuti contro i campioni del mondo in carica. Al 18° del primo tempo, la partita è di nuovo in parità. I tedeschi riuscirono a pareggiare, ma da quel momento in poi non vedranno più la palla. Puskas e compagni presero un palo  e una traversa. I tedeschi salvarono almeno una palla gol sulla linea di porta e il portiere tedesco tirò fuori dalla rete almeno due palloni. Sul finale della partita, gli ungheresi cominciarono a essere spompati mentre i tedeschi continuavano a correre come dannati. All’84° Rahan infilò il 3-2 per i crucchi. Un’altra squadra avrebbe gettato la spugna, ma l’Aranycsapat ricominciò a creare calcio e all’88°, Ferenc Puskas, zoppicante, infilò il gol del 3-3. Il pubblico svizzero che tifava assolutamente per gli ungheresi scoppiò di gioia, ma mentre il pallone veniva riposizionato al centro del campo, l’arbitro e il guardalinee decisero di annullare il gol. Una cosa mai vista, almeno senza il VAR. Czibor ebbe ancora una palla gol, ma non riuscì a buttarla dentro. L’arbitro fischiò la fine della partita, che si configurò già all’epoca come uno dei più grandi furti nella storia del calcio. I giocatori tedeschi che avevano sfoggiato un’incredibile tenuta atletica sotto una pioggia scrosciante di acqua e di fischi si presero la Coppa Rimet. Puskas andò anche a stringere la mano al capitano tedesco, con un gesto di grande sportività. Forse proprio in quel momento il giocatore tedesco sentì una fitta tra reni e fegato. Che stava succedendo? Niente di che, quasi tutta la squadra neocampione del mondo venne ricoverata d’urgenza in ospedale: itterizia infettiva. Non è che i  tedeschi per vincere si siano drogati come il cavallo di un boss della  mala che vuole vincere il County Derby? Parrebbe proprio di si. Di quella nazionale per circa un anno, nessun giocatore calcò un campo di calcio. Ci furono infortuni, convalescenze, malattie, problemi fisici di vario genere. La rifondazione del calcio tedesco nasce da questo episodio triste, da nascondere sotto il tappeto della storia.

Ma c’è ancora tempo per La squadra d’oro, no? No, perché a questo punto della nostra storia arrivò la Storia, quella con la S maiuscola. Nel 1952 ci ha lasciato Iosif Vissarionivic Dzugasvili, conosciuto come Koba prima e per il resto delle vicissitudini dell’umanità sulla terra come Stalin. Dopo quattro anni e una dura lotta per il potere interno all’Unione Sovietica, Nikita Chruscev (italianizzato in Krusciov) diventò segretario del PCUS. Durante il XX° congresso del Partito Comunista Sovietico, cominciò la destalinizzazione. Vennero messi alla luce tutti i crimini commessi da Stalin durante il suo regno
La lotta per il potere tra Trotskij e Stalin era basata su due idee diverse di sviluppo dell’Unione Sovietica. Trotskij voleva che il socialismo sovietico aiutasse le lotte operaie di tutta Europa e che il socialismo in un solo paese sarebbe stato irrealizzabile. Questo implicava anche una Rivoluzione Permanente e l’implementazione del potere dei Soviet. Stalin guardava a Oriente e per lui lo sviluppo del socialismo in un solo paese era possibile, a patto di creare un grande apparato burocratico che avrebbe gestito ogni attività dello Stato. Sappiamo com’è andata. Pare che i burocrati più stronzi fuoriusciti dallo stanilismo fossero quelli del partito ungherese. La politica sovietica di destalinizzazione si tradusse tra operai e studenti magiari in un assioma preciso: ”Qui hanno governato e governano gli stalinisti e non ci piacciono proprio. Se Mosca se ne libera, possiamo farlo anche noi.”
Il 23 ottobre del 1956 iniziò una rivolta o rivoluzione che partì proprio dagli studenti e poi si propagò tra gli operai. All’inizio il governo ungherese sembrò essere accondiscendente con i manifestanti, ma ben presto si cominciò a combattere strada per strada, palazzo per palazzo.  L’11 novembre del ’56 il sogno di un socialismo diverso venne spezzato dai carro armati russi. E Puskas e compagni? Ferenc venne addirittura dato per morto negli scontri tra i rivoluzionari, invasori russi e AVH. L’Honved in quei giorni era partita per giocare in Coppa dei Campioni con l’Atletico Bilbao. Venne eliminata, ma molti dei giocatori decisero di rimanere nell’Europa occidentale. Puskas venne squalificato per due anni, si trasferì in Italia insieme alla moglie e alla figlia che attraversarono il confine tra Ungheria e Austria rischiando la pelle. Il campione ungherese cercò di allenarsi e giocò anche una partita tra il Signa e l’Empoli, in cui il portiere empolese gli parò qualsiasi cosa tra le bestemmie contenute del magiaro. La Squadra d’oro era ormai un lontano ricordo e con lei il calcio ungherese che è tutt’ora in attesa di una riscossa. Ferenc Puskas fece ancora in tempo a vincere qualsiasi cosa con il Real Madrid diventando idolo dei tifosi e grande amico di Di Stefano. Con i Blancos gioca dall’età di trentuno anni fino a trentotto. Una forza della natura a cui è mancata la consacrazione del titolo mondiale per colpa dei tedeschi e della loro scorrettezza, ma anche della storia travagliata della sua Ungheria e di quel pezzo di novecento dell’Europa Orientale.








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