lunedì 28 ottobre 2019

L’eterno incompiuto. Partizan Belgrado-Real Madrid del 1955.


di Claudio Metallo


Winston Churchill disse dei Balcani che ‘producono più storia di quanto ne riescano a digerire.’ Probabilmente non aveva tutti i torti. Nell’ex Jugoslavia convivevano diversi popoli e religioni. Dopo la seconda guerra mondiale, prese le redini dello Stato Josip Broz, detto Tito.
Nato a Kumrovec in zona croata al confine con la Slovenia, diventa il capofila dei paesi che, pur essendo comunisti, non sono allineati con Mosca. Josip Broz aderisce giovanissimo al partito social-democratico della Croazia. Viene richiamato in guerra e fatto prigioniero sugli Urali dove, insieme ad alcuni compagni, prende in mano il carcere alla vigilia della Rivoluzione Russa del febbraio 1917. Diventa operaio e membro del partito comunista russo, poi entra nell’Armata Rossa. Ritorna in patria e fonda il partito comunista slavo, diventando il capo della resistenza antinazifascista. I fascisti nel periodo di occupazione dell’ex Jugoslavia trucidarono circa centomila persone per stanare i partigiani. Terribili furono i campi di concentramento organizzati dagli italiani come Kampor, così come i massacri tra cui quello di Podhum in Slovenia: 120 morti fucilati senza motivo.
Nonostante la disparità di forze, Tito e i suoi partigiani rompono il culo ai nazifascisti e fondano il socialismo in Jugoslavia. Un socialismo diverso, nel quale ad esempio gli operai partecipano ai profitti delle fabbriche di Stato, cosa insolita anche per un paese comunista, non si chiude del tutto all’economia privata e in seguito verrà varata la così detta legge sull’autogestione che andrebbe studiata con grande attenzione. Un’altra cosa si può aggiungere alla sua già discreta biografia: Tito è l’unico leader comunista che sfida Stalin durante il Kominform del 1948. Il vecchio Koba vuole cieca obbedienza da tutti i paesi e partiti comunisti del mondo, mentre Tito gli dice che non ha combattuto con i nazifascisti per regalare il paese ai suoi baffoni! Inoltre il buon maresciallo è stato anche scomunicato dal Papa nell’ottobre del 1946. Non ha paura né degli uomini né di Dio. Tito è la persona giusta per tenere insieme dei popoli che vivono sullo stesso territorio, ma hanno molte differenze. In quegli anni viene coniata la filastrocca:”Sei Stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito.”
Qualcuno all’interno dell’entourage del nuovo capo di Stato decide di riprendere in mano il calcio, perché si sa che lo sport può essere uno straordinario strumento di propaganda, distrazione di massa, ma anche di coesione e sfogo. E poi ovunque sia passato uno stramaledetto inglese si è impiantato il seme del calcio, dal Rio de la Plata fino a Danubio. E infine il calcio in Jugoslavia ha già attecchito bene: una rappresentativa di calcio Jugoslava aveva già partecipato ai giochi olimpici del ’20, del ’24 e del ’28.
Con l’avvento del socialismo le squadre di calcio vengono rifondate, anche se la prima divisione jugoslava manterrà lo stesso nome  Prva Liga. Alle squadre non viene impedito di avere un forte attaccamento alle proprie radici territoriali. Le due squadre serbe più importanti infatti sono il Partizan Belgrado, che diventa la squadra di riferimento dei partigiani che hanno combattuto contro i nazifascisti, e la Stella Rossa, fondata dagli studenti dell’università di Belgrado nel 1945 e in cui confluiscono l’SK Jugoslavija e il BSK Belgrado.
Poi ci sono le due squadre croate: Dinamo Zagabria, fondata anch’essa nel 1945, e l’Hajduk Spalato, la più antica formazione dei balcani, fondata a Praga (quando la città faceva ancora parte della Crozia sotto l’Impero Austroungarico). Con rarissime eccezioni saranno queste quattro squadre a contendersi i campionati dal 1945 al 1992, l’anno della dissoluzione della Jugoslavia.

Mentre Tito fonda e dirige il Movimento dei Paesi non Allineati (all’URSS), viene indetta e giocata la prima Coppa dei Campioni. È un esperimento nuovo, voluto dai francesi dell’Equipe con lo zampino di Santiago Bernabeu, il potentissimo presidente del Real Madrid che, a mio modestissimo parere, è uno degli uomini a cui si deve la brutale commercializzazione del calcio e la totale mercificazione delle squadre e dei calciatori. Tacendo sul fatto che il suo collegamento con il regime franchista fa del suo Real l’ambasciatore della Spagna in Europa, anche grazie alla fondazione della Coppa dalle grandi orecchie.
La prima partita della moderna Coppa Campioni viene giocata tra Sporting Lisbona e Partizan Belgrado allo Estadio Nacional il 4 settembre del 1955, alle ore 17. Sono ottavi di finale con andata e ritorno. La prima partita è una battaglia. 3-3 sulla città del Tago e di Pessoa. Le cronache raccontano del vantaggio dei padroni di casa e poi un continuo susseguirsi di azioni e gol nel bel mezzo di un ventosissimo pomeriggio tipico de Lisboa. In riva al Sava, nella città di Andric, la situazione cambia notevolmente, il risultato finale è 5-2! Milos Milutinovic, fratello del più famoso Bora, è il giocatore più forte del Partizan: doppietta a Lisbona e quaterna a Belgrado! Ovviamente è stato il primo uomo a compiere l’impresa in Champion’s. 
Dopo aver passato il turno c’è il sorteggio. É qui la storia comincia a prendere una piega diversa. Immaginiamo un calcio agli albori, i campi di mezza Europa sono spesso senza tribune, pochi giocatori sono professionisti e spesso le squadre di calcio sono delle polisportive portate avanti da studenti o operai. In mezzo a tutto questo arriva il Real Madrid di Santiago Bernabeu che compra qualsiasi giocatore forte o fortissimo incontra sulla sua strada. Nel 1954 si era assicurato direttamente dal River Plate la saeta rubia Alfredo Di Stefano, quello che viene considerato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi. Tre anni più tardi avrebbe acquistato uno dei dieci giocatori più forti della storia, Ferenc Puskas. Il Real Madrid è uguale alla squadra che conosciamo oggi: una fraccata di soldi per comprare chi vuole, grandi appoggi nelle alte sfere del calcio (leggi: aiuti arbitrali) e una squadra di fuoriclasse. Dalle stramaledette urne del sorteggio il Partizan Belgrado becca proprio i Blancos. Eh vabbè, questi non li puoi battere! Invece, nello stadio di Madrid che verrà intitolato proprio al grande Pres, le cose non vanno così lisce. Eppure la partita finisce 4-0! Si, però in mezzo ci sta almeno un fallo sul portiere slavo da cui viene fuori uno dei gol e poi al Partizan ne annullano due! Dico due! Come direbbe il buon vecchio Chiellini:”You pay! You pay!”

Real Madrid-Partizan 4:0
https://www.youtube.com/watch?v=SQ5oF1krD4k 

È andata così, la favola del Partizan di Belgrado finisce a Madrid. Ma agli slavi non va proprio di rimediare una figuraccia anche in casa. Il ritorno è 29 gennaio 1956. Lo stadio del Partizan è una lastra di ghiaccio! Ci si potrebbe pattinare sopra. I dirigenti della squadra di casa chiedono molto sportivamente:”La giochiamo oggi? Perché se volete facciamo arrivare il sale e in un paio di giorni il campo e sgombro.”
I madridisti si guardano quasi ridendo, hanno vinto 4-0 all’andata, figurati se su un campo del genere si riesce a giocare decentemente. Hanno la qualificazione in pugno:”No, figuratevi fratelli slavi! Giochiamo, non c’è nessun problema.”
Milos Milutinovic, che sarà il capocannoniere della Coppa, segna quasi subito. Juan Alonso Adelarpe, portiere del Real, si rialza da terra. Vicino a lui i giocatori del Partizan festeggiano compostamente e poi si dirigono verso il centro del campo. C’è una strana puzza nell’aria, Adelarpe non riesce a capire, ma al secondo pallone che raccoglie in rete si rende conto di tutto:
“Concha de tu madre! Hanno le scarpe piene di benzina.”
Gli slavi hanno intinto le scarpe nella benzina e così i tacchetti fanno presa perfettamente sul terreno.
Il Partizan ce la mette tutta, ma non riesce a superare per quattro volte di seguito il portiere spagnolo. La partita finisce 3-0, che è una grande vittoria, ma è la sintesi perfetta del calcio slavo, sempre ad un passo dal paradiso! Quel Real Madrid vincerà, spesso con grossi aiuti arbitrali, cinque Coppe dei Campioni di fila, ma se in quella lastra di ghiaccio di Belgrado avesse preso il quarto gol, forse oggi racconteremo un’altra storia.

Partizan-Real Madrid 3:0
https://www.youtube.com/watch?v=-fv1MwcHYR8

La storia del calcio jugoslava si conclude tragicamente con l’esclusione dall’Europeo del 1992, dopo svariati argenti alle olimpiadi e un oro a Roma nel ’60. I blavi hanno avuto grandi nazionali capaci di vincere contro chiunque e di perdere contro chiunque. Hanno espresso generazioni intere di fuoriclasse senza essersi mai seduto al banchetto buono. Il movimento calcistico è sembrato riprendersi a fine anni ’90. La Stella Rossa che vince la Coppa dei Campioni in una incredibile finale con l’Olympique Marsiglia finita ai rigori e giocata a Bari (sì, altri tempi). Ma proprio a cavallo tra il 1991 e il 1992 salta tutto e inizia una terribile guerra civile, in cui si svolge una delle pulizie etniche più violente che la seconda metà del novecento ricordi: quella contro i musulmani nei balcani.
Per una straziante bizzarria della storia, uno degli eventi che segna il punto di non ritorno per la Jugoslavia è una stramaledetta partita di calcio tra una squadra croata e una serba. Slobodan Milosevic andrà a pescare nella curva della Stella Rossa per creare le sue milizie paramilitari e dei capi più spietati di esse sarà la tigre Arkan, al secolo Zeljko Raznatovic, uno dei terribili assassini dell’esercito di criminali  che realizzò la pulizia etnica in tutta l’ex Jugoslavia. E pensate che in Italia c’è pure un allenatore che ne rivendica l’amicizia.
Questa è una triste storia di un giocattolo meraviglioso che ha visto nascere, crescere e giocare Milutinovic, Dzajic, Savicevic e tanti altri campioni, ma forse ha prodotto più calcio di quanto ne è riuscito a digerire.




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